"il matrimonio mi è sempre sembrato un passo avventato", disse il conte Ivan Sipucin asciugandosi la lente destra della sua splendida montatura d'oro zecchino. "la primavera non perdona nemmeno le menti più argute", rispose la marchesa Sonja Andreevna rimettendosi in ordine il pesante corsetto e aggiustandosi le larghe gonne che sembravano aver fatto a pugni con un esercito ottomano. "Un giorno vorrei fare un bagno nel mar dei sargassi e trovarvici un tesoro", aggiunse Ivan intento a fumare il suo sigaro francese. La cenere cadeva lentamente sul pavimento proprio come la neve nelle mattinate di marzo. Tutto era fermo a Mosca, una città addormentata che si lasciava alle spalle un altro inverno e si apprestava a vivere una primavera fantasma. Era in quei momenti che Sonja si sentiva felice. Non appena restava da sola il diavolo le invadeva l'anima e come un'ossessa dava la caccia ai ragni che abitavano in quella casa da sette generazioni. Poi decise di alzarsi. Aprì la porta e vide qualcosa tra la neve. Un'ombra forse. Cominciò a danzare vorticosamente su stessa gridando " perché è tutto dentro e fuori di me, ma io ti aspetto capito? ti aspetto". Poi cadde inghiottita dalla neve.